Vladimir Sorokin, scrivere o essere terrorizzati (da Putin)
[La traduzione raccoglie parti di due interviste rilasciate a Werner Krause per la "Kleine Zeitung" e a Herwig Höller per "Der Standard".]
Vladimir Sorokin (1955) è uno dei più importanti esponenti del concettualismo russo, molto noto soprattutto in Germania. Da anni è schierato duramente contro la politica di Putin. In italiano sono stati pubblicati due dei suoi libri più famosi “La coda” (Guanda) e “Ghiaccio” (Einaudi).
― Recentemente lei ha pubblicato due libri antiutopici ambientati in una Russia del futuro completamente dominata dai servizi segreti. Da dove arriva l’interesse per questa tematica?
― L’idea era questa: modellare una situazione che descrivesse che cosa sarebbe potuto accadere dopo la costruzione di una «muraglia russa» che, seguendo il modello cinese, avrebbe dovuto difendere dai nemici esterni ed avrebbe quindi isolato il paese. In particolare mi interessava quale sarebbe stata la lingua parlata: sarebbe stata una lingua del XVI secolo (l’epoca di Ivan il Terribile), trasferita nella tecnologia contemporanea. D’altronde nel contesto attuale, molte persone in Russia dicono di non riuscire più ad immaginarsi il futuro. Questo fenomeno mi ha motivato a scrivere entrambi i libri.
― In uno dei suoi primi grandi romanzi, «La coda» (1983), lei racconta che il popolo russo trascorreva buona parte della sua vita aspettando in coda. Questo restare fermi in piedi e quest’attesa possono essere un simbolo ancora attuale per definire l’anima russa?
― Aspettare e sperare è la sorte dei russi. All’epoca dell’Unione Sovietica si stava in piedi in coda, ora invece si sta seduti negli ingorghi senza fine delle strade di Mosca. Ma il principio secondo il quale aspettiamo che accada qualcosa di straordinario rimane lo stesso. Il popolo attende che qualcosa di meraviglioso cada dal cielo.
― A proposito del cielo: un paio di anni fa lei ha parlato del clima politico nella sua patria, dicendo che si trattava solo della prima nevicata. Sarebbe seguito un lungo e duro inverno. Questa sua cupa prognosi è diventata realtà?
― In Russia si è sprofondati in un inverno politico con la salita al potere di Putin. Negli ultimi anni il ghiaccio è diventato man mano sempre più duro. Ora il freezer-Putin funziona a pieno regime: per raggiungere temperature ancora più basse l’attuale fornitura di energia non basta più. Come potrà continuare a funzionare? Nessuno lo sa. Nemmeno Putin.
― Lei definisce volentieri i suoi romanzi come una satira. Si tratta di un modo per indorare l’orrore reale?
― «Il giorno degli Opričniki» (2006, inedito in Italia, n.d.T.) non è soltanto una satira o un’antiutopia, ma anche il tentativo di trovare una metafora per rappresentare la vita civile in uno Stato che è stato creato da Ivan il Terribile nel XVI secolo e ha conservato fino ad oggi quella struttura centralizzata e piramidale. Sono passati secoli, i russi sono passati dai cavalli alle mercedes, nei paesini si scambiano e-mail l’un l’altro, ma la mentalità rimane la stessa e vale anche per i costumi rozzi dei politici e per il feudalesimo che si subisce nei rapporti sociali.
― La sua storia di «Opričniki» è ambientata nel 2027. «Il Terribile» si riferisce davvero a Ivan, o forse a Valdimir nell’anno 2011?
― Beh, no. Ivan il Terribile fu effettivamente molto più spaventoso, molto più folle ed istruito.
― Gli intellettuali russi ultimamente si stanno interrogando su quanto la Russia attuale sia paragonabile all’Unione Sovietica degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta, ovvero il cosiddetto periodo di stagnazione. Come giudica questo confronto?
― Oggi ne parlano tutti, soprattutto da quando è diventato chiaro che il compagno Putin si sarebbe ripresentato come presidente. Senza dubbio il paragone è giustificato. [...] Ma attualmente avverto nell’aria un forte odore che mi riporta fatalmente all’anno 1984. Probabilmente non è un caso.
― Cosa vuol dire?
― è come l’ultimo Juri Andropov: aveva certamente un’immagine forte, ma era già molto malato e non padroneggiava più bene la situazione. Lo stesso accade oggi a Putin.
― La scorsa settimana in uno stadio di Mosca è stato fischiato apertamente.
― Esatto. Perché è chiaro che l’immagine di Putin non funziona più. Ed è un processo irreversibile.
― Una volta lei ha detto: «La letteratura russa è una chiesa ed io entro in questa chiesa con un’ascia.» Si tratta di vandalismo? Oppure è un’espressione di grande rassegnazione?
― Vent’anni fa sono entrato in questa chiesa con un’ascia e ho ridotto tutto in mille pezzi per lasciare spazio alla luce naturale. Ora però mi piace entrare in questa chiesa con l’ascia, deporla al suolo, inginocchiarmi in silenzio accanto a lei e pregare. Ad esempio un’icona con l’immagine di Lev Tolstoj.
― Come definirebbe il suo ruolo di scrittore in Russia? Nei suoi lavori appare sempre pessimista e cinico. Vede qualche luce in fondo al tunnel?
― Io sono un ottimista pessimista. Ovvero, sono più che convinto che noi tutti (anche i russi) non aspettiamo altro che una prevedibile, affascinante, sorprendente, sconvolgente e inevitabile fine. Questa è «la luce in fondo al tunnel».
― Perché non c’è una grande opposizione da parte della leggendaria «intellighenzia russa»? Sembra intorpidita.
― Il problema è che l’intellighenzia sovietica è in parte emigrata e in parte morta. Un’intellighenzia postsovietica non è ancora emersa.
― Come giudica il crescente potere di internet che si è manifestato in maniera impressionante in Medio Oriente e nei paesi del Nord Africa? è pensabile anche in Russia un’evoluzione simile?
― In Russia non è la forza di internet il problema, ma la debolezza della società civile. Il fatto che le persone scendano per le strade non è una conseguenza di internet, ma della mancanza del pane. O del denaro con cui è possibile comprarsi il pane.
― Esistono però alcune piattaforme internet come «Satira bes Sortira» che contano più di 50mila utenti, è possibile che la nevicata che lei ha pronosticato si trasformi in una valanga sempre più grande?
― Prima o poi accadrà. E poi arriverà di nuovo il disgelo che scioglierà la palla di neve. E tutti noi diventeremo acqua sciolta e poi vecchi mozziconi di sigaretta pronti per essere spediti al diavolo.
― Come si pone nei confronti delle nuove generazioni?
― Oggigiorno da parte di molti giovani sento dire sempre la stessa cosa: «acquistare immobili in Occidente ed emigrare». Come se si fossero tutti messi d’accordo. Si tratta di una moda vera a propria. Negli anni Novanta l’ho sentito molto raramente da parte dei giovani. Dobbiamo ringraziare anche di questo il compagno Putin e i suoi uomini.
― Quanto lei e gli altri autori che la pensano come lei vivono nella paura?
― Mi sembra che per uno scrittore in Russia possa valere sempre e solo una formula: o si scrive o si è terrorizzati. Tertium non datur.
― Quale opera ci dobbiamo aspettare prossimamente dal poeta Vladimir Sorokin?
― Chiedo scusa, ma da un anno e mezzo non ho più scritto nulla.[...] C’è un vecchio detto «Il silenzio è oro». Io ho deciso di aumentare le mie riserve auree.
traduzione di Lorenza La Spada